La messa non è finita. Il vangelo scomodo di don Tonino Bello


La messa non è finita. Il vangelo scomodo di don Tonino Bello

“Perdonami se non ti ho mai chiesto se leggi fedelmente il Corano. Se hai bisogno di un luogo dove riassaporare i silenzi misteriosi della tua moschea”, così si rivolge il vescovo Tonino Bello a un giovane musulmano sbarcato sulle coste pugliesi.

La sua non è una semplice provocazione. Agli ultimi immigrati, tossicodipendenti, ex detenuti, sfrattati – ha dedicato la sua intera esistenza: un vescovo che incontra sui marciapiedi un’umanità dolente e indifesa, che accoglie in episcopio i bisognosi e manifesta con chi ha perso il lavoro, ma anche un uomo innamorato della Parola di Dio.

A molti non è gradito: dal pulpito e negli scritti indirizzati ai fedeli della diocesi come a illustri interlocutori usa parole sferzanti e punta il dito contro i potenti di turno richiamando la Chiesa al servizio dei poveri. Ma per don Tonino, formatosi alla scuola dei preti operai di Bologna e nel clima innovatore del Concilio Vaticano II, il vangelo è un messaggio rivoluzionario, che deve scardinarci dalle nostre comode certezze. Per anni si batte contro la guerra.

E il 12 dicembre 1992 – pur provato da un cancro che di lì a poco lo porterà via – marcia per le strade di una Sarajevo assediata insieme a cinquecento persone, facendo tacere le armi. Con l’aiuto di Domenico Amato, che sta portando avanti la causa di beatificazione apertasi nel 2007, Gianni Di Santo ne ripercorre i passi e dà sostanza a una santità che tutti gli riconoscevano in vita e che si auspica ottenga presto il suggello della Chiesa.

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